
La coerenza e Sarahah! Tra identità reale e identità digitale
La coerenza, nell’epoca delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, tende a perdersi in un rincorrersi di insulti, sfottò e parole pronunciate senza troppa trasparenza. Il termine così come lo fornisce il vocabolario Treccani si definisce:
coerènza s. f. [dal lat. cohaerentia, der. di cohaerere; v. coerente]. – L’esser coerente, nel sign. proprio e fig., e nelle accezioni specifiche (per le quali, v. coerente): la c. delle parti nel tutto; c. d’idee; c. fra pensiero e azione.
La coerenza è un prezioso tesoro messo a repentaglio dal mancato coraggio. Sì, proprio la mancata capacità di esternare ciò in cui si crede, anche se doloroso, può creare disallineamenti importanti tra il piano virtuale e il piano reale.
La coerenza nel comportamento online
Di coerenza ha scritto anche Federica De Stefani nel suo libro “Le regole della rete. Come tutelare i propri contenuti online” edito da Hoepli, in un modo semplice e diretto, si spiega che l’identità reale e l’identità virtuale devono essere in linea, abbracciare la stessa filosofia di vita ed essere coerenti. La De Stefani, afferma, che da un punto di vista pratico, essere coerenti significa avere modo di perseguire gli obiettivi prefissati. Immaginiamo quindi un personal trainer che voglia aumentare il suo giro d’affari, nel caso in cui postasse continuamente sui social comportamenti di vita o alimentari poco inclini alla salute e al benessere, pensi possa aver successo? Io credo proprio di no.
Dal punto di vista giuridico, significa trasferire online tutto il nostro background e anche le norme di diritto che si hanno offline. Significa, quindi, che online non si può esternare il proprio pensiero con termini non appropriati o coloriti, perché sono passibili di denuncia.
Non lo sapevi? Ecco, ora lo sai.
La coerenza e l’anonimato
In questi giorni impazza online una nuova App Sarahah, che permette l’invio di messaggi anonimi di qualsiasi tipo agli utenti registrati. I messaggi possono essere inviati in forma anonima e comprendere qualsiasi parola al suo interno. Gli sviluppatori parlano di self development, quindi di crescita attraverso critiche costruttive, altri gridano al cyberbullismo.
In pochi giorni, Sarahah, ha raggiunto i 10 milioni di download per Android e tutto ciò per cosa? Esisteva già ASKfm.
Sarahah permette di registrarsi e inviare messaggi di qualsiasi natura, attraverso una schermata apposita che recita “Leave a constructive message”, quanti utenti lasceranno davvero un messaggio costruttivo? Il punto è proprio questo, in una società di leoni da tastiera, cosa può portare un’app come questa? Forse solo polemiche e negatività.
Perché rimanere anonimi? La coerenza dove finisce?
La comunicazione per definirsi tale deve considerare tre variabili imprescindibili:
- essere bidirezionale
- essere attiva
- essere corretta
Non ritrovo nessuna di queste tre caratteristiche nelle app sopra menzionate, ed è per questo che non mi sono registrata. Amo la trasparenza in rete, come nella vita, se si ha la necessità di dire qualcosa a qualcuno, preferisco di gran lunga chi ci mette la faccia, per essere riconosciuto. Apprezzare o insultare con un cappuccio in testa, non so a cosa equivalga, forse alla nuova guerra santa tecnologica a cui non vogliono partecipare.
La consapevolezza che in rete si accede attraverso un indirizzo IP, dovrebbe essere ormai nozione appresa e che attraverso questo si è rintracciabili, tracciabili e che sia equiparabile ad un nominativo. In molti forse non hanno questa conoscenza e allora perché non studiano prima lo strumento, per poi iniziare a utilizzarlo? Non ci sogneremmo mai di azionare la motosega elettrica senza capire come usarla, perché potrebbero nascere grossi danni, la rete è uguale.
L’anonimato è rispettato solo in forma superficiale e non determina una mancata conoscenza dei dati anagrafici, tecnici e di appartenenza territoriale da parte di tecnici o di forze dell’ordine, così come afferma Flavius Florin Harabor, esperto sviluppatore e fondatore di Insidevcode.
La necessità sociologica e antropologica di nascondere il volto proviene forse da una necessità di mutamento dei dogmi sociali che impone la cura della superficie e non del profondo, dell’attacco e non della sana difesa della propria interezza, del vuoto valoriale e non dell’etica individuale.
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